All'attenzione della prof.ssa. Roberta Parnisari!
Cari studenti, questoarticolo riguarda sull'educazione e narrazione.
ART.: EDUCAZIONE E NARAZIONE
Introduzione
Il metodo narrativo è sicuramente uno degli strumenti educativi e formativi più accreditati; esso consiste nell’utilizzo di racconti, storie, testi con o senza illustrazioni, ricerche biografiche e autobiografiche, il cui intento è legato ad aspetti di conoscenza di sé e di comunicazione-relazione interpersonale. La possibilità di riconoscere ed esperire le molteplici dimensioni della cura in educazione, insieme alla riscoperta del tema dell’ascolto, rappresentano una fonte inesauribile di stimoli, provocazioni. La narrazione ha lo scopo, esplicito o implicito, di rendere partecipi gli altri delle esperienze fatte nel corso della vita, e di offrire dei modelli utili per affrontare gli eventi inattesi e imprevedibili, e per sapere trovare le soluzioni adeguate alle circostanze. Il soggetto che racconta, esprime concetti giudizi, fornisce interpretazioni che coinvolgono l’interlocutore senza risultare necessariamente condivisibili. Narrare vuol dire confrontarsi per arricchire il patrimonio culturale, contribuire alla conquista di una identità nel pieno rispetto della diversità. La narrazione è strumento linguistico. In quanto strumento, la storia produce effetti in molteplici direzioni: su chi la costruisce e la usa, sull’interlocutore e sugli stessi eventi narrati. Per aver chiaro basta pensare a una narrazione di tipo autobiografico, essa rappresenta il processo trasformativo per eccellenza: ricostruire il proprio percorso identitario in modo narrativo muta in primo i ricordi, il loro valore e il loro significato. Nel momento in cui veicola la propria narrazione all’interno di una conversazione saranno necessarie ulteriori modifiche soprattutto in vista delle regole imposte dal linguaggio, del legame tra narratore e interlocutore. Si può dire che per estensione la trasformazione riguarda tutta la realtà coinvolta, quindi sia il Sé che il mondo. Il fondamento della narrazione è da intendersi come un insieme di codici, procedure e operazioni, indipendenti dal medium. E’ facile immaginare, come l’uso della narrazione presupponga specifiche competenze: ha bisogno di un vero e proprio processo di appropriazione da parte del soggetto che la costruisce. In questo modo il soggetto la potrà impiegare consapevolmente come strumento che accoglie dentro di sé sia una dimensione oggettiva che soggettiva: il narratore ricorre, per esempio, a una determinata lingua e una sua organizzazione preesistente al soggetto stesso per costruirla, ma poi, attraverso l’uso di un determinato, dialetto o linguaggio, può esprimere la propria originalità. La narrazione è flessibile, infatti la storia oscilla tra diverse polarità. In primo, la storia, si compone di una struttura invariabile detta testo e di un piano relazionale più sensibile al contesto. Perciò gli eventi che compongono una storia possono essere compresi soltanto in relazione alla cornice che li contiene e, cioè, alle dinamiche che intercorrono in un dato momento in un dato luogo tra narratore, lettore e contesto simbolico – culturale. La coerenza di questi elementi rappresenta in ogni occasione l’obiettivo principe a cui la narrazione deve tendere ripartendo da capo, riorganizzandosi e riposizionandosi periodicamente. E’ necessario attuare atteggiamento attraverso cui il lettore o l’ascoltatore accetta di credere a ciò che legge o sente, lasciando temporaneamente sospeso il valore convenzionale di realtà. Inoltre le narrazioni vanno interpretate attraverso le lenti della verosimiglianza. L’elemento più rilevante diventa, perciò, non tanto che quel che si racconta sia vero quanto la credibilità della narrazione appesa, quindi, tra elementi di certezza e incertezza. Ma per accedere a questo stadio il narratore deve poter confidare nella forza dell’autorevolezza per trattare oggetti mnemonici che possano interloquire con la mente. La storia muovendosi all’interno del mondo possibile da lei stessa delineato, permette al lettore o interlocutore di costruirsi un’idea di ciò che potrebbe accadere e che quindi può aspettarsi dalla storia. La narrazione si muove, cioè, tra canonicità e violazione. La mente, come dice Jerome Bruner, è predisposta a tradurre l’esperienza in termini narrativi, come se attraverso la possibilità di raccontar, l’uomo potesse allenarsi a mettere in ordine sia l’esperienza del presente che quella del passato. Umberto Eco sostiene che la narrazione è una componente dello sviluppo umano che ha la stessa funzione del gioco: i bambini giocano con bambole, cavallucci di legno per familiarizzare con le legni fisiche e con le azioni che un giorno dovranno compiere sul serio. Leggere i racconti significa fare un gioco attraverso il quale si impara a dare un senso alle molteplici cose che accadono e che accadranno nel mondo reale.
La narrazione come percorso educativo
Narrare significa, integrare mentalmente due diversi piani rappresentativi: quello delle azioni e degli eventi organizzati in una sequenza temporo-causale; e quello delle intenzioni, dei sentimenti, delle emozioni dei personaggi, oltre che del narratore stesso. Comprendere un racconto significa, filtrare e integrare le rappresentazioni e il mondo rappresentazionale del narratore con quello dell’ascoltatore. La narrazione è un’azione mediante cui qualcuno racconta qualcosa a un altro, cioè una inter-azione che dispiega entro le relazioni sociali e dar loro forma e significato. Le narrazioni sono pratiche narrative che attraverso un racconto permettono a due o più soggetti di mettere in comune una storia. In ambito educativo, questa modalità, presuppone il racconto reciproco sfida l’immagine consolidata che ognuno ha di se stesso e favorisce il confronto, la discussione e il coinvolgimento degli aspetti emotivi. A partire dal riconoscimento della forma del racconto rievocativo come una vera e propria metodologia, narrativamente aiuta a ricostruire, continuamente, trame identitarie, sociale, di vita. Per l’educatore, questa vocazione narrativa del soggetto, si esprime attraverso una particolare attenzione alle storie di vita dei soggetti in formazione. La professionalità pedagogica dell’educatore si concretizzi nella capacità di incontrare l’identità dell’altro, nell’offrirgli la capacità di vivere la propria identità e trasformarla proprio a partire da questo incontro.
La narrazione come strumento dell’educatore, il ruolo dell’educatore:
individuando nel mestiere e nell’identità cioè del biografo tre differenti funzioni, inconsapevolmente traccia i tratti essenziali di chi e come l’educatore, è crocevia di narrazioni. E’ proprio la natura dialogica insita nel suo ruolo a spingerlo in campo come giocatore e al contempo a porlo nella condizione di far rispettare le regole del gioco come arbitro. L’educatore, cioè, non solo entra in relazione con l’altro ma, da un lato deve strutturarne le dinamiche in qualità di arbitro e, dall’altro, seppur in uno spazio relazionale condiviso, dare forma all’asimmetria. Assumere di volta in volta questi ruoli permette al processo identitario dell’altro di realizzarsi in continuità, unitarietà e coerenza. Siamo di fronte a una figura professionale che di volta in volta, di relazione in relazione, si re-inventa nella tensione tra bisogni, obiettivi e risorse. Per esempio, deve imparare ad oscillare con competenza tra parola e silenzio. La relazione educativa necessita, di espandersi nella voce ma al contempo di ripiegarsi a sentire e comprendere. Il compito dell’educatore non è solo quello di trasformare la vita ma anche di contemplarla. Questo significa che egli deve essere in grado di fare silenzio, di lasciarsi cioè pervadere da ciò che esiste per riuscire a comprenderlo al di là dei propri pre-concetti. Il silenzio e la prossimità{ tacita fanno parte dell’area di competenze che gli è propria tanto quanto la loquacità e la vivace, instancabile, disponibilità discorsiva. Attraverso la narrazione l’educatore mette atto un processo educativo in cui è chiamato a essere custode di memorie, ordinare vite per poter aiutare il soggetto a tessere il proprio Sé.
a) Essere custode di memorie. La meta più prossima, all’inizio dell’intervento, quella che si situa nell’immediato dei primi giorni in cui è avvenuta la conoscenza, è lo stabilire un contatto. Dare vita all’alleanza relazionale che permette di creare un legame in cui sia possibile e naturale scambiare, interrogare, re-inventare la propria e altrui identità. Quando ci si occupa di storie di vita e quindi si cerca di entrare in punta di piedi nella soggettività dell’altro, come fa l’educatore, il modo in cui si ascolta è davvero importante. Esso diviene cruciale soprattutto nella prima fase di alleanza relazione in cui l’educatore deve costruirsi ed essere percepito dal soggetto come custode di narrazioni. L’ascolto deve essere attivo e attento perché solo in questo modo, si riesce ad incoraggiare il racconto che, soprattutto nei momenti iniziali, può risultare faticoso. Questo vorrà dire non soltanto prestare attenzione a quanto detto ma anche a tutto quello che non viene veicolato nella parola, come i gesti, la postura, l’espressione del volto e lo sguardo. Sul tema dell’ascolto Canevaro rileva, citando Bernard Schawrtz, due possibilità{ per l’educatore: “Ci sono due modi di ascoltare. Il primo consiste nell’impossessarsi dei discorsi dell’altro per metterli a servizio della propria tesi e dei propri interessi, in secondo consiste nel sentire l’altro, nel capire da dove parla, nell’andare verso di lui. L’educatore deve, accogliere non soltanto l’altro ma anche se stesso come soggetto che ha bisogno di avere ascolto in quel che fa, che sente e che pensa per poterlo poi mutare.
b) Ordinare vite. La modalità narrativa, consente al soggetto di organizzare e dare senso al proprio percorso identitario di cui narrazione autobiografica diviene l’intelaiatura. Essa costituisce per l’educatore lo strumento capace di condurre l’individuo a “sollevarsi” sia da se stesso che da ciò che lo circonda, per realizzare una foto aerea del tratto di vita vissuto. Il soggetto in questo modo si riconosce come “esistente” da un lato e, dall’altro, si coglie nella sua natura diadica, ovvero, nel suo idem. In questo senso è importante che l’educatore si accosti con discrezione all’altro, fornendogli stimoli o suggestioni che possono orientarlo nella costruzione della sua traiettoria vitale e nel percorso di auto riflessività cioè narrativa. E’ preferibile, per esempio, che le domande costituiscano una semplice guida per il soggetto che non deve in alcun modo sentirsi costretto, interrogato o giudicato. L’educatore può, inoltre, ricorrere alla tecnica della riformulazione, ovvero nel riassumere quanto detto dal soggetto o solo alcuni aspetti, in modo che egli sia libero di correggerlo. Questo tipo di intervento fa sentire la persona ascoltata e può aiutarla ad organizzare gli elementi essenziali della narrazione che sta costruendo. Attraverso la riformulazione, quindi, l’educatore aiuta il soggetto a fare luce su alcuni aspetti per ritrovarne o ristabilirne i nessi e le implicazioni. L’educatore, inoltre, scegliendo di restituire al soggetto le contraddizioni insite nella sua narrazione, ne stimola l’auto-riflessività rispetto alla coerenza della sua composizione identitaria. L’educatore, per esempio, deve saper distinguere il dolore distruttivo, ovvero la sofferenza che porta il soggetto a mettersi a nudo senza che vi siano le risorse per accettare quanto fatto emergere. Raccontarsi significa prendersi cura di sé e quando il soggetto non riesce a farlo, è l’educatore che deve tutelarlo.
c) Tessere identità. La fase di alleanza relazionale con i suoi due obiettivi fondamentali (la conoscenza e il riconoscimento) pone le basi per la fase successiva: l’alleanza progettuale la cui finalità è ricollegare il soggetto alla rete sociale a partire dalla relazione educativa. L’educazione come la narrazione procede dando vita a mondi possibili. Nella relazione educativa l’educatore deve saper creare e mantenere uno spazio relazionale dove l’altro possa progressivamente maturare il suo mondo possibile, e perciò la sua identità possibile. Ogni individuo nutre l’esigenza di muoversi su uno scenario che sappia dare senso, unitarietà e coerenza alle pluriappartenze che connotano la sua vita e che, a volte, sembrano disperderla. L’educatore ha, la responsabilità di sostenere il soggetto affinchè i suoi fili identitari possano strutturarsi come storia, ossia consentire che gli eventi della vita umana abbiano un senso, non solo in sé ma anche come passi di un cammino che dal passato portano attraverso l’azione nel presente e al futuro. La relazione educativa deve cioè condurre il soggetto a riconoscersi come identità che muovendosi nel mondo agisce per realizzare il suo progetto. Rivestire il ruolo di artigiano di narrazioni, impone all’educatore di portare il soggetto a scoprire come intrecciare la propria autobiografia significhi farsi al contempo depositario e promotore di altri testi identitari. Infatti, incontrando una storia di vita se ne incontrano molte altre, che da essa prendono forma, ora sullo sfondo, ora in primo piano; come quando, guardando un album di foto altrui ci scopriamo in un’immagine quali ignari passati sorpresi dall’obiettivo.
CONCLUSIONE
L’educatore deve cercare di muoversi oltre la soggettività per rintracciare e costruire altri scenari di validazione alla narrazione che, proprio nella resistenza della realtà e nella quotidiana progettazione educativa, può divenire strumento educativo. Clotide Pontecorvo, ci ricorda che la narratività è importante, ed è importante proprio nella scuola perché il paradigma della narrazione è il primo che si costruisce nella mente del bambino. La didattica della narrazione e dell’autobiografia si caratterizza perché prospetta valenza formative, motivanti e sociali. Si tratta di una didattica che propone al soggetto nuovi modi di apprendere e di conoscere, individua le connessioni esistenti tra le dimensioni cognitive, affettive, morali, emozionali della conoscenza, permette di riflettere sugli eventi della propria vita e di valutare i cambiamenti. Lo scrivere è una forma privilegiata di narrazione che consente di cristallizzare i pensieri e le emozioni che il soggetto vive in un dato momento. A tal proposito Ascanio Celestini protagonista del teatro di narrazione, descrive il bisogno di raccontare: Devo raccontare sennò mi scordo. Alla fine del viaggio racconto così viaggio due volte, la prima è quella vera, ma la seconda è quella utile. (…)Anch’io uso la matita nelle parti bianche delle prime pagine di un libro, ma ci scrivo quello che mi viene in mente. (…)E raccontandola aggiungo pezzi e poi mi confondo, non so se sto raccontando quello che ho letto o quello che ho scritto io. In questa parte conclusiva vorrei annotare, come fa un educatore, alcune rapaci considerazioni rispetto al valore della narrazione. L’elaborato è stato guidato dall’intenzione di rintracciare un processo di senso, coerenza e unitarietà alla modalità narrativa sia nella sua globalità che nelle sue implicazioni. In questo percorso ne sono perciò emerse conclamate potenzialità e al contempo sottili imperfezioni. Rilevante per la professione dell’educatore è l’aspetto metodologico dell’approccio narrativo: esso, infatti, se da un lato pone l’accento sulla riflessione come momento cruciale e necessario a ogni individuo, dall’altro, fatica a costituirsi come strumento validante di una professionalità competente. La consapevolezza maturata sul carattere esistenziale della narrazione impone di valicare il fascino insito a questo artocolo per “raccontare per la seconda volta” le possibili indicazioni metodologiche nella polisemia connaturata a questa prospettiva.
Daniella Iannotta, Giuseppe Martini, Strade del narrare- La costruzione dell’identità, Effatà Editrice, Torino 2012.
Art., Barbara De Angelis, Educazione e narratività
Stud.ssa: NGOYI NSOMBO MATR.: 0167292