Caro Franco, tu riesci a dare senza chiedere davvero nulla in cambio?
Io vivo il mio lavoro di cura come una relazione, un processo assistenziale parte dell'incontro tra due o più esseri viventi, ognuno dei quali è in possesso di alcuni elementi del processo dello stesso.
Non 'mi piace' pensare dall'incontro curante-curato un qualcosa di unidirezionale cerco di vivere la relazione con l'altro e riflettere che si può 'giocare' su più livelli, il corpo per esempio può rappresentare per i due attori un confine, un margine, un limite od un'occasione, una possibilità, un'opportunità per rendere vera la relazione di aiuto avviata dal professionista della cura.
Forse, siamo abituati al rapposto spesso svelto, frettoloso, tra curante e curato, è facile dimenticare che il contatto tra due persone può essere visto come una possibilità di evoluzione personale e professionale.
Il contatto fisico, può amplificare gli effetti e le implicazioni della counicazione, consentendo così di far emergere, anche attraverso il corpo, sottili significati e potenzialità della comunicazione stessa.
Vista da questo punto di vista, si tratta di una realazione di collaborazione il cui obiettivo è il superamento dei poblemi di salute o altro e dove l'efficacia dell'intervento/aiuto ruota attorno alla fiducia, all'empatia, ed alla RECIPROCITA'.
Una autentica relazione dipende dal fatto che ciascuno intenda l'altro quale egli è, lo accetti e lo confermi sanza riserve, anche se nella sua strutturale asimmetria, la relazione assistenziale è di per sè proposta e aiuto.
Concludo con una frase del filosofo tedesco Heiddeger : 'il linguaggio quotidiano è una poesia dimenticata e come logorata, nella quale è dato a stento ancora percepire il suono di un autentico chiamare' autentico chiamare che passa anche attraverso il linguaggio del corpo.
Buona giornata.
Rosa